Dopo le prime settimane dove mi sono sentita un semi-dio, vogliamo sapere come è andata? Malissimo. Nausea, vomito e mal di schiena. Ho vomitato ovunque: in macchina, al ristorante, a casa di amici, una volta quasi per strada mentre andavo al lavoro. Alle sei di pomeriggio per me era come ora di andare a dormire, infatti ogni sera mi addormentavo prestissimo. Ma dov’era finita la wonder Manu di qualche giorno fa? Quella piena di energie, di voglia di fare e di positività? Al suo posto una Manu stanca, questo l’ho già detto, ma soprattutto irritabilissima. Non sopportavo più nulla, o molto poco. Il profumo del caffè? Per carità, era motivo di vomito assicurato. Ho proibito a mio marito di darmi il bacio al mattino prima di salutarci. Il suo profumo, che fino al giorno prima adoravo, mi nauseava. Allora, prima mi baci e poi vai in bagno a metterti il profumo. Anzi no, il profumo te lo metti in borsa e te lo spruzzi fuori dalla porta. Molto meglio.
Nel giro di pochissimi giorni cambio un sacco di piccole abitudini. Cambio dentifricio, cambio sapone, via l’arbre magique dalla macchina e ovviamente non metto più una goccia del mio profumo, nemmeno io. Per non parlare dell’alimentazione. Io che tra acqua naturale e acqua frizzante scelgo sempre la naturale. Tra cornetto semplice o farcito, semplice ovviamente. La tisana? C’è bisogno che lo dica? Amara. Ecco che mi ritrovo a bere bevande dolci e gasate, dal the freddo alla coca cola come fosse acqua, ad avere l’acquolina in bocca al solo pensiero del cornetto alla marmellata ed a riempire le mie tisane invernali di miele. Incredibile! Inoltre, non so se a qualcuna di voi è capitato, in bocca avevo spessissimo un sapore amaro, tipo metallico, che si alleviava solo mangiando, per poi tornare poco dopo. Decido quindi di masticare chewing-gum tra un pasto e l’altro. Ma andiamo avanti.
Al lavoro non riuscivo più ad essere performante come al solito e facevo fatica ad accettare l’idea di rallentare. Ai miei colleghi di lavoro non lo avevo ancora detto, troppo presto. Lo dico solo al mio datore di lavoro, durante una telefonata. Lui è molto felice, si sente. Quando gli dico che sono due mi dice di prendermi il tempo necessario, facendomi intuire che il mio rientro, molto probabilmente, avrebbe richiesto un po’ più tempo. Discorso che non faceva una piega, eppure anche questa cosa, in quel momento, mi aveva un po’ spiazzata. Io che avevo costruito una parte importante della mia vita intorno al lavoro, in quel momento mi accorgo che fermarmi mi spaventa. Infine con mio marito, dopo i primi giorni di esaltazione pura, iniziamo a capire come organizzare al meglio l’arrivo dei gemellini. E allora dal “wow” passiamo velocemente al “how”, ovvero alla parte organizzativa.
“Ci serve una tata” afferma lui convinto. “Qualcuna che viva con noi, disposta anche a fare qualche notte, almeno all’inizio.”
Io: “Ah, tutto il tempo con noi?”
Piccola parentesi: mio marito di giorno svolge due lavori di grande responsabilità, in più due anni fa è stato operato al cuore. Ergo: è meglio che di notte dorma. Detta così sembra stia parlando di un uomo in là con l’età:) E invece no, lui è più giovane di me. Ma di mio marito e dei suoi super poteri ne parlerò più avanti. Ok perfetto, tornando a noi e non avendo aiuti, con due, una mano era necessaria. Ma l’idea di un’estranea dentro casa, giorno e notte, non mi motivava affatto. In quel momento l’unica cosa che volevo era la mia famiglia, che come sapete vive in Svizzera. Insomma, in pochissimo tempo era diventato tutto così faticoso e doloroso. Dentro di me il miracolo e io? Stavo male fisicamente ed emotivamente e la cosa più brutta che ho provato è stato il sentirmi sbagliata. Perché non potevo più gioire come fanno tutte le mammine? Avevo la vita dentro eppure in quel momento mi sono sentita sola. Ma come potevo fare?
Decido che l’unica cosa sensata è buttarmi nel fare, appunto. Per cui ho iniziato a dedicarmi a tutte le cose che c’erano da preparare. Dai colloqui con le tate, ad informarmi su un preventivo per finestrare il terrazzo della stanza dedicata ai bimbi (dato che la stanzetta per due era minuscola), nonché a dedicarmi al mio lavoro al meglio che potevo e tutto questo tra nausee fortissime e vomito. Ho cominciato a guardare online le cose che potevano servire ai miei bambini, tipo il doppio passeggino e più facevo, più amavo la mia nuova vita. Tra l’altro, dopo diversi colloqui con le tate andati male, finalmente incontriamo quella giusta. Una tata veramente in gamba. Una donna africana, piena di treccine, che parlava sia italiano che inglese, disposta anche a fare le notti se serviva. In più aveva già lavorato in famiglie con gemelli ed era felice di ripetere l’esperienza, si vedeva. Perfetto tata trovata!
Sarò una mamma di due gemellini, avrò una tata che mi aiuta, una super stanza per i miei bambini, un lavoro che adoro e al quale prima o poi ritornerò…woooww!! Che cosa vuoi di più dalla vita?? Un po’ meno ormoni. Grazie! Eh già, il loro effetto iniziava a farsi sentire.
“Ma è normale sentirsi così altalenante? Per non parlare delle nausee…” chiedo ingenuamente alla mia ginecologa alla visita di controllo.
“Ma certo! E’ normalissimo cara. Stanno crescendo e questo è l’effetto! Ricordati che sono due!” Okeeey. Tiro un sospiro di sollievo perché in fondo ciò che conta è che i gemellini stiano bene.
E febbraio è passato così, un mese di alti e bassi dove ho vissuto sulla mia pelle quello che in pochi dicono sulla gravidanza. Più tardi avrei scoperto che gli sbalzi di umore, nonché i sentimenti di paura ed incertezza non sono poi così rari e che molte mamme li attraversano. Solo che io non lo sapevo, nessuno te lo dice. E nel mio immaginario di mamma in dolce attesa immaginavo solo il dolce, meno le nausee e le incertezze che comportano l’attesa. Ma non è così. Oggi lo so. Ed è quello che vorrei dire qui apertamente: che le cose belle, bellissime, possono essere al contempo dolorose e faticose e che questo non le rende meno degne di essere tali.
E arriviamo al 5 marzo, giorno del compleanno di mio marito. Decidiamo di organizzare una festa con amici per dare loro la notizia. Facciamo preparare una torta enorme con una cicogna altrettanto grande sopra che portava con sé due bei fagottini. Era bellissima! E al momento della torta, dopo cena, lo dichiariamo così, o meglio, non dichiariamo proprio nulla, aspettiamo in silenzio le reazioni. Non vi dico la sorpresa!!!
“Ma sono dueee??!!”
“Due?! Ma davvero??!”
Io emozionatissima, condividere questa gioia è stato unico, dopo lunghe settimane in cui tenevo tutto dentro. Ovviamente abbiamo chiesto loro di non dire ancora nulla, aspettavamo il successivo controllo ginecologico che avremmo fatto di lì a breve e che, peraltro, coincideva quasi con la chiusura del primo trimestre. Dopodiché lo avremmo condiviso con tutti. A metà marzo, al controllo ginecologico, io e mio marito siamo felici come due bimbi, chissà quanto sono cresciuti i nostri gemellini? La ginecologa mi accoglie come al solito chiacchierando, ve l’ho detto che chiacchiera anche mentre ti visita? E questo significa che tutto procede bene e che non ti deve comunicare nulla di che. Alla prima visita ha smesso di parlare perché doveva dirci che erano due. E questa volta? Perché si è ammutolita di punto in bianco?
“Uno dei due non ha più battito.” Così, diretta, senza giri di parole.
Nello studio il gelo. Non ho il coraggio di guardare il monitor. E a dire il vero nemmeno mi interessa. Mi bastano le sue parole. Incrocio lo sguardo di mio marito, impossibile trattenere il pianto. Lui si avvicina alla dottoressa per guardare meglio e lei: “Mi spiace davvero tanto ragazzi. L’altro invece è arzillissimo.”
“Ma che cosa è successo?” Chiede mio marito allibito. E mentre lei continua a fornire le sue spiegazioni, che poi in realtà spiegazioni non ce ne sono per davvero, io cerco di trattenere il pianto, inutilmente. Lei mi consola dicendomi che nelle prime settimane tutto può accadere, anche questo. Ma io continuo a piangere. Dopodiché mi spiega che non ci sarebbe stato bisogno di fare nulla perché essendo così piccolo si sarebbe riassorbito da solo. E che ovviamente, da lì a breve, avrebbe voluto rivedere il gemellino arzillissimo.
Esco dallo studio in silenzio salutando la segretaria con gli occhi tutti rossi, di solito con lei ci si scambia sempre qualche parola. Questa volta non mi fermo, ci pensa mio marito. Io penso solo che non sono più la mamma che avevo immaginato fino a poco fa: al diavolo tate, al diavolo preventivo per la stanza, al diavolo tutto quello in cui avevo investito nelle ultime settimane. Mi sento semplicemente uno schifo. Non solo perché uno lo avevo perso, ma perché lo avevo perso per colpa mia. Ripenso a tutte quelle volte in cui, nelle settimane precedenti, mi sono sentita male, stanca e impaurita. Ed ecco che cosa era successo! Dannato delirio di onnipotenza, mi viene da dire oggi, ma in quel momento mi sono sentita responsabile.
Lo diciamo subito alle nostre famiglie. Poi ai nostri amici, quelli con i quali due settimane prima avevamo condiviso la super torta. Tutti ci hanno dato parole di conforto, tutti e dico tutti coloro che sapevano ci sono stati vicino in un modo che non potrò mai dimenticare. Anche mio marito mi consola tanto, dicendomi che doveva andare così, eppure non riuscivo a farmene una ragione. Ma il mattino seguente, giuro, faccio lo scatto. Comprendo di dover compiere una scelta: portare attenzione a ciò che non c’era più, oppure dedicarmi a ciò che in me era rimasto e che di me aveva bisogno più di ogni altra cosa. Decido per questa seconda opzione, in modo netto. E di colpo mi rendo conto che ciò che c’era, era tutto ciò di cui avevo bisogno. Mi sono sentita profondamente grata e una pace inaspettata finalmente mi ha raggiunta. Mi sono sentita ancora una volta una privilegiata: stavo per diventare mamma, aspettavo un figlio e avrei fatto di tutto per proteggerlo. Tutto il resto è passato in secondo piano, semplicemente: nausee, irritabilità, il sentirmi meno performante…andava bene così. L’importante eravamo noi. Un pensiero va a chi questa seconda possibilità, come ce l’ho avuta io, non ce l’ha e si ritrova a perdere tutto in un solo istante, dopo averci creduto fino al secondo prima. Non ci sono parole. Posso solo dire che comprendo e che vi sono immensamente vicina.
E dopo questo primo trimestre ricco di emozioni altalenanti, mi dico che il peggio è passato e posso finalmente godermi il resto della gravidanza. Sapevo anche che le nausee di lì a poco sarebbero passate e già questo, per me, era motivo di grandissimo sollievo. Mi avviavo verso il trimestre migliore, così dicevano tutti. E così è stato, almeno per qualche mese, ma in realtà non avevo davvero la più pallida idea di ciò a cui stavo andando incontro…

“La ferita è il punto in cui la luce entra in te” Rumi
Ciao, mi chiamo Manuela, ho 38 anni e sono la mamma di Mariasole, la mia bimba fortissima di un anno, nata fortemente prematura. Sono davvero molto felice di far parte di questo blog di mamme e di raccontare la nostra storia. Noi mamme abbiamo un estremo bisogno di condividere, di non sentirci le uniche, di non sentirci sbagliate, ma l’ho capito solo di recente. Mai avrei pensato di avere una storia da raccontare, da donare all’altro e magari essergli utile, nonostante avessi affrontato una delle sfide più impegnative della mia vita. Mi sentivo ancora in colpa, sbagliata e parlarne era l’ultima cosa volessi fare. Anzi, se avessi potuto cambiare il corso degli eventi e il modo in cui è nata mia figlia, lo avrei fatto, immediatamente. Poi però, qualcosa è cambiato. Proprio grazie alla nostra storia, proprio grazie a Mariasole. Semplicemente sono cambiata io. E a distanza di un anno dalla sua nascita posso affermare col cuore leggero che non cambierei nulla di ciò che è accaduto, perché oggi riesco a vederlo con gli occhi dell’Amore e questo cambia ogni cosa.